Corsa Verso il Domani: Laura Broglio e il Suo Percorso nell'Autotrasporto

 


Era il 1935 quando in Italia venne creata la prima norma che attesta l’esistenza della professione di autotrasportatore e che definisce l’attività di trasporto su strada. Da quel momento in poi il settore del trasporto ha continuato a rafforzarsi, fino a quando, nel 1974, è stato istituito l’albo degli autotrasportatori di merci per conto terzi. 


Così è nata un'opportunità. L'opportunità di vivere storie diverse ogni giorno e offrire ai clienti un servizio adeguato alle loro esigenze. Alcuni trasportatori sono nati attraverso la  passione per i camion, altri l’hanno ereditata  da familiari, e ad altri è bastata una casualità per accendere la scintilla della curiosità. Questo ultimo è stato il caso di Laura Broglio, una professionista dell’autotrasporto con una visione contemporanea, che ha condiviso con noi la sua storia e  le sue idee  sul futuro del settore. 


Laura ha cominciato la sua esperienza di divulgazione su piattaforme digitali scrivendo un blog per un'azienda di Borsa Carichi, per poi iniziare a  esprimere la propria creatività con la creazione dell’e-book “Siamo Carichi”. Successivamente,  motivata dalla volontà di tenersi costantemente impegnata, , ha deciso di frequentare un corso per Social Media Manager e acquisire le competenze che le  hanno permesso di creare contenuto di valore online per altri trasportatori. 



Ci può raccontare un po’ di Lei? Da quanto tempo fa parte  del mondo dell'autotrasporto e cosa l’ha ispirata a seguire questa strada?


“Mi sono affacciata sul mondo del trasporto nel 2015 seguendo il mio ex ragazzo e la sua compagnia a un raduno (quello conosciutissimo di Misano Adriatico), all’epoca non mi interessava nulla dei  camion, nonostante fossi una ragazza comunque attratta da, potremmo definirle per comodità, “cose tipicamente maschili”. Da piccola, ricordo, mi feci regalare l’auto della Barbie e il meccano e crescendo ho conservato questa mia indole praticando Karate e suonando la batteria. 


Per quanto riguarda i motori amavo le moto, ma mai avrei pensato di salire in cabina. 


Poi, quel giorno, sfinita da otto ore di caldo cocente, rombi di motori e vociare di persone in festa (i camionisti orgogliosi dei propri veicoli) decisi di salire, anche solo per capire cosa potevano mai provare a bordo di quei camion. 


Lo capii all’istante perché ricordo perfettamente il brivido di impugnare il volante, seduta così in alto. 


Complice anche il fatto che vivevo da sola, ma lavoravo in un settore fatto di lavoro precario (bar e ristorazione), con in atto l’ennesimo tentativo (fallimentare) di laurearmi, scelsi di conseguire le patenti necessarie. A parità di investimento avrei avuto un ritorno immediato, con uno stipendio più alto dei miei coetanei e contributi versati.


Così mi lanciai, e dopo tre mesi dal conseguimento delle patenti, iniziai a lavorare. 


Cosa mi ha ispirata davvero? Il lavoro in sé. Si, perché io non sono la ragazza dalla passione bruciante come tanti miei colleghi che hanno sognato questo lavoro fin da piccoli o come chi è innamorato del camion in sé. Io amo tutto del mio lavoro: la soddisfazione di guidare un bisonte della strada, le operazioni di carico e scarico, scoprire ogni giorno cose nuove, ma anche le difficoltà che mi permettono di sfidare continuamente me stessa e poi amo le persone che popolano questo lavoro e il fatto di sentirmi parte di qualcosa di estremamente utile”. 



Come si prepara prima di un viaggio lungo? Cos’è che non può assolutamente mancare?


“Di infallibile, in questo lavoro, non c’è assolutamente nulla. Inizialmente è una cosa che odi, poi impari ad amare l’imprevedibilità. 


Ogni viaggio è a sé, quindi non sai mai cosa ti aspetta e nulla cambia da un viaggio lungo o corto. Cinquanta chilometri possono essere più difficili di ottocento. 


Non sono metodica, per questo ho mille liste di cose da fare che non rispetto, ma


- il giorno prima: controllo sempre la strada che andrò a fare verificando se la conosco (anche solo una tratta), la viabilità effettiva per il camion (tramite il navigatore specifico), controllo dal satellite la destinazione per capirne la grandezza, intuirne le manovre e cercare di arrivare preparata (anche se poi il momento della verità arriva solo quando si è sul posto), controllo documenti personali, del veicolo e (se sono già carica) della merce. 


- prima di partire: controllo del veicolo e del carico (anche se io carico da sola o al massimo assisto, per cui non devo verificare come è stato disposto il carico), seleziono la playlist del giorno e i podcast da ascoltare, sistemo le borse che mi seguono quotidianamente (quelle con gli effetti personali e il cibo) nel loro spazio, perché voglio partire con tutto al proprio posto. 


In camion, invece, ho sempre un cambio per ogni evenienza e tutto quello che mi serve per il carico (cinghie, dpi, guanti) e gli imprevisti (attrezzi, tuta da meccanico ecc)”.



Qual è stato uno dei momenti più soddisfacenti della sua esperienza lavorativa e perché?


“Quello più bello deve ancora arrivare. 


Ce ne sono stati tanti, dalla pubblicazione del mio primo articolo a vedere il mio ebook stampato, leggere il mio nome sul test drive pubblicato su una delle riviste specializzate più importanti del settore, fino a parlare davanti a chi questo lavoro lo governa davvero ed essere ascoltata. Ogni volta che realizzo qualcosa è un’enorme soddisfazione, ma non voglio mai sentirmi arrivata. Del resto è come in camion: alla fine di un viaggio, ne inizia subito un altro”. 



In questi anni di esperienza, percepisce che l'industria del trasporto su strada sia cambiata?


“Guido da troppo poco tempo per riuscire a captare i cambiamenti veri, bisognerebbe chiedere a chi ha almeno vent’anni di esperienza.


Tanti miei colleghi veterani continuano a dire che si stava meglio un tempo, in realtà studiando su riviste e libri, credo che dopotutto non sia cambiato poi molto. La mentalità, i grandi nodi da sciogliere e le difficoltà sono rimaste essenzialmente le stesse. 


Quello che è veramente cambiato è il sistema in cui il trasporto si trova a gravitare. Il mondo corre per soddisfare le esigenze di mercato industriale ragionando su scala globale (basti pensare alla tecnologia, la sostenibilità, gli aggiornamenti normativi) puntando tutto su una struttura di filiera, dall’altro il settore è talmente frazionato e radicato in un mentalità artigianale (tantissimi sono le aziende medio-piccole) che, nel pratico, non riesce a stare al passo con i tempi.


Non basterebbe un articolo dedicato per parlare adeguatamente dell’l’argomento perché dovremmo anche ragionare su politiche di prezzo, marginalità effettiva del servizio di trasporto, infrastrutture e dinamiche sociali (tra cui rapporti con la committenza)”.



Ultimamente, sui canali di comunicazione si parla sempre più spesso di una grossa difficoltà per reperire autisti in Italia ed Europa. Lei a cosa pensa sia dovuta questa carenza di professionisti e quale sarebbe il modo per incentivare le persone a svolgere questo mestiere?


“Esiste una grossa difficoltà a reperire lavoratori in generale, non mancano solo autisti. 


Credo che il primo punto da comprendere sia che esiste uno spaccato valoriale assoluto tra la generazione dei nostri nonni e la nostra. 


Per noi vale molto di più la qualità dell’ambiente di lavoro, del nostro tempo libero e della nostra salute mentale, una volta si sacrificava qualunque cosa in nome del lavoro che rimane, però, lo stesso criterio di selezione del personale che si usa oggi ( il famoso “ i giovani non hanno più voglia di lavorare). 


Inoltre c’è una più alta richiesta di specializzazione, non è vero che i lavori si imparano facendo. Sono richieste competenze tecniche e gradi di istruzioni più alti e questo ha un costo di investimenti e di sacrificio personale che poi la persona vuole vedere ripagata.


Anche aprire un’attività non è più semplice come un tempo, sono sempre più alti i requisiti da dimostrare (anche economici) rispetto al passato, cosa che non è vera per la marginalità degli stipendi. Per fare un semplicissimo esempio, oggi non si parte più con il famoso gruzzolo da parte, devi indebitarti e non tutti vogliono farlo o ne hanno la possibilità. 


Il mio settore non è tanto diverso, sostanzialmente gli autisti vogliono sì stipendi adeguati, ma anche un ambiente di lavoro più sano, dove ci sia ascolto e partecipazione attiva nella vita aziendale e rispetto da parte delle aziende ospitanti. 


C’è anche un grosso lavoro di infrastrutture che andrebbe fatto, visto che non sono sufficienti gli spazi di sosta e le loro condizioni sono comunque precarie, ma anche di lunghissime attese al carico e scarico che fanno diventare questo lavoro una stressante corsa contro il tempo. 


C’è poi, marginalmente perché è chiaro che fino a quando non si saranno sciolti i veri nodi rimane uno sforzo inutile, un lavoro di comunicazione del settore. Fino a quando parleremo dei camion come brutti, sporchi e pericolosi (anche nei mass media) come possiamo pensare di invogliare le persone a fare questo lavoro?”. 



Di recente il governo ha stanziato 25,3 milioni per un bonus patenti destinato ai giovani tra i 18 e i 35 anni che vogliono entrare nel settore. Il contributo coprirà l’80 per cento della spesa sostenuta e non potrà superare i 2.500 euro. Una misura che i sindacati giudicano utile, ma non sufficiente a risolvere l’emergenza. Cosa ne pensa?


“Qui le risposte si semplificano, perché credo che i 5000 euro richiesti per fare la patente non siano il vero nodo della questione. Se pensiamo che i ragazzi (o le famiglie) spendono dai 10 ai 50 mila euro per laurearsi (dati che trovai su Almalaurea, ma basta fare due conti tra tasse, libri e spese di vitto e alloggio fuori sede) per poi essere disposti a guadagnare molto meno di 2000 euro al mese è un chiaro segnale che il costo della patente è una difficoltà, ma risolvibile. Quante persone si sono effettivamente presentate in tutte quelle aziende che erano disposte a finanziare la patente al futuro autista?” 


Quali sono le principali criticità che un nuovo autista o padroncino può incontrare, e che consigli gli darebbe per affrontarli?


“Autista e padroncino sono due cose differenti, perché il padroncino deve fare i conti con le stesse difficoltà del dipendente, aggiungendo poi la parte di gestione aziendale. 


Bisogna avere, comunque, voglia di mettersi in gioco e avere visione, nel senso che si deve essere disposti a studiare, interagire anche con gli altri attori del sistema trasporto e tenersi sempre aggiornati perché solo così si può affrontare in maniera preparata il futuro. 


Oggi il vero ostacolo è rappresentato dalla mentalità di chi rimane ancorato al passato senza voler accettare il cambiamento. 


Collaborazione, discussione, formazione sono i capisaldi del trasporto di domani e nessuno ce lo racconta”. 



Grazie alla sua esperienza sul campo, che futuro ha questa professione in Italia?


“Non credo molto a chi pensa che l’autista smetterà di esistere e, anche se fosse, non mi spaventa. 


Io, onestamente, penso che si avvicinerà (con gli anni) sempre di più a una professione di controllo, un po’ come il pilota di linea. L’autista guiderà in modo diverso e sempre meno, ma rimarrà comunque a bordo del mezzo anche solo per una questione di responsabilità. 


La vera incognita è il futuro delle flotte perché visto le alte richieste da parte dell’Europa, non so quanti padroncini riusciranno a rimanere attivi. 


Siamo in profonda metamorfosi e, come sempre, ne uscirà chi saprà intercettare la via giusta e adattarsi ad essa, chi avrà un atteggiamento fluido. 


Insomma, avremo futuro, sarà solo diverso e bisognerà scegliere se questa differenza ci piacerà o meno, ma forse nemmeno ce ne accorgeremo. Così come è stato ogni grande cambiamento, dalla rivoluzione industriale alla corsa tecnologica”. 



Secondo lei quale sarà l'impatto nel settore dell’autotrasporto con il passaggio  graduale ai mezzi di trasporto  ibridi o elettrici?


“Domanda veramente difficile a cui nemmeno i costruttori danno una risposta. 


In questa metamorfosi totale, probabilmente la sostenibilità e le serrate agende europee avranno un impatto molto forte sulla conformazione del settore, perché ci riagganciamo al tema della capacità d'investimento delle aziende di trasporto, ma anche di quella di chi deve investire in infrastrutture di ricarica e distributive (nel caso dell’idrogeno). 


Forse, a questo punto, il futuro delle flotte è in mano a chi sarà in grado di diventare sostenibile. 


Ad oggi abbiamo tutti molte domande e poche risposte, per ora infatti si segue la via della neutralità tecnologica per abbassare l’impatto del settore sulle emissioni totali e man mano si cercherà di capire come questa inevitabile trasformazione impatterà sul settore, cercando di gestirne le conseguenze e adattarsi al meglio a qualcosa di inevitabile ”. 



Quali sono i tuoi pensieri sul futuro dell’autotrasporto? Faccelo sapere con un commento. 

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